UN CARCERE NEL PALLONE
“Un carcere nel pallone” , di Francesco Ceniti con una presentazione di Candido Cannavò. Editore Laruffa, pagine 220, euro 15,00.
Mosaico umano: storie di detenuti , individui diversi per vissuto e capi di imputazione e che nello sviluppo del testo impariamo a conoscere per nome e patire delle loro sofferenze. Ci sono cose difficili da immaginare, ed essere privati della libertà e’ una di queste.
L’autore, giornalista professionista della “ Gazzetta dello Sport “ e’ sceso letteralmente in campo , fino ad essere ospite in un carcere abitato da tremila persone e dove, come in tutti i carceri della terra, la parola speranza si usa con parsimonia.
Quello che noi non comprendiamo e’ che il destino di queste persone si decide dietro le sbarre e senza aiuti dall’esterno che irrompano nel silenzio surreale di un alveare di sgabuzzini di 3 metri per 2 qualsiasi sbocco positivo diventa pura utopia. Se priviamo i detenuti di un qualche contatto col mondo esterno diventiamo complici della loro follia, perché il patire annichilisce e la libertà diventa quasi sempre un trauma.
La presenza dei volontari e’ una vera benedizione, ma l’esperimento pilota di Ceniti riesce in un vero e proprio miracolo; lo sport come esperienza di libertà dove allenarsi due ore al giorno accorcia giornate irrimediabilmente uguali. Centoventi lunghissimi minuti in cui ci si dimentica di essere prigionieri, con la prospettiva tangibile del match domenicale, dove sconfitte e vittorie scardinano e sferzano vite spezzate avvicinandole a quel mondo reale percepito soltanto dalla televisione.
Le giacche verdi del Free Opera iscritte alla Fgci in terza categoria brillano della luce donata dall’autore, che ha il grande e riconosciuto merito di sacrificare tempo, soffrire ed allenare per otto mesi una squadra eterogenea e sempre diversa pur di abbattere virtualmente quei terribili muri di cemento armato. E ci riesce, come la leggenda del santo che addomestica il leone togliendogli una spina dalla zampa : le celle in quegli agognati momenti paiono lontane e gli anni da scontare solo “un piccolo particolare”. Il gioco del calcio diventa l’oasi in un deserto di sbarre, ed oasi dopo oasi “la speranza e’ che prima o poi il deserto finisca”. Il capolavoro , e mi auguro rappresenti una grande soddisfazione per Ceniti, credo sia quello di vedere partecipare agli allenamenti ex detenuti, che a fine detenzione non rinunciano ad un’esperienza che deve essere stata davvero incisiva.
Cito la frase di un detenuto, Mario, che dovrebbe scalfire il cuore anche dei più scettici: “molti incontrano un bruco e pensano sia un verme, le stesse persone incontrando una farfalla ne decantano le bellissime forme ed i colori originali. Pochi riflettono sul fatto che si tratta dello stesso meraviglioso essere, in diversi stati della vita”
Il messaggio che arriva al lettore di questo reportage snello, umile, sincero e privo di ogni velleità letteraria e’ un pugno nello stomaco. Sferzato a tutti noi, che per caso, per destino o per fortuna abbiamo la fedina penale intonsa e ci arroghiamo il diritto di puntare il dito e giudicare persone, ancor prima che carcerati, vittime in primis delle loro vite disperate e di una società che non capisce che si fortificherebbe dando fiducia a chi ha sbagliato.