IL PADRONE DELLE ONDE
IL PADRONE DELLE ONDE
Autore Mario Dentone, Mursia Editore, pagine 329, euro 18,00.
Vincitore della seconda edizione del premio Marincovich, sezione narrativa di mare con la seguente motivazione “Dalla piccola storia di un giovane zavorratore di Moneglia Mario Dentone ha scritto un romanzo storico, ricostruendo con dovizia di dettagli l’aria che si poteva respirare in quello spicchio di mare nell’800. Dalla vita degli spaccapietre a quella del porto di Genova. Dalla generosità allo spirito di accoglienza. Dalla voglia di crescere al coraggio di affrontare e sconfiggere i pirati, per poi sentirsi pronto ad affrontare il grande mare, con viaggi sempre più lunghi su barche sempre più grandi da parte di Giuseppe Vallaro detto Geppin, classe 1804”.
E’ un libro da leggere sugli scogli in solitudine, come alcuni piatti di mare da assaporare in loco per comprenderne dappieno la loro squisitezza. L’autore racconta Il mare alla stregua di una seduttiva pagina bianca sempre da riscrivere, come l’onda che cancella l’impronta sulla battigia.
Una vera simbiosi tra uomo e mare, che ci rimanda a tempi dove gli anziani rappresentavano l’autentico sapere , quel Vangelo da tramandare come il più grande dei tesori, e dove ogni capace marinaio apprendeva il mestiere grazie ad un mentore, cui umilmente si sottoponeva per imparare quella “scuola di mare” che non si studia sui libri ma solo attraverso il sudore, l’acqua che ti schiaffa la faccia, lo sforzo fisico e la solitudine.
Geppin e’ un grande uomo di mare realmente esistito, poche sono le tracce che ci sono pervenute. Tuttavia Dentone trae spunto da una scarna biografia per ridargli vita, splendore, ed un alone di eternità.
Il romanzo e’ epico ed enciclopedico, storico ed avventuroso, e ci rivela la splendida natura contadina e marinara del popolo di Moneglia. Da bambino Geppin imparò a nuotare prima ancora di camminare, si spaccò la schiena come aiuto zavorratore del padre, che bestemmiava per quello stesso dolore un Dio invece invocato dalla moglie, vedova di un uomo vivo ma sempre per mare, un mare che riduce la vita familiare ad un ricordo silenzioso. Si parte, ma partire non significa necessariamente arrivare perché il mare vince sempre.
Rivolgendosi al nipote, l’anziano nonno amava ripetere come una litania il suo dogma :“Se non vuoi passare per stupidone del tempo non fare mai la previsione”. Insegnò a Geppin a baciare o a maledire il mare, ad amarne i pesci, i frutti le conchiglie e le alghe “che’ del mare non si butta nulla”, poi gli spiegò scirocco e libeccio, mezzogiorno e tramontana, grecale e maestrale, venti mai uguali nemmeno a sé stessi, con rumori, colori e odori sempre diversi che possono portare tempeste paurose con la morte così vicina da udirne il bisbiglio: “Vieni a me, che e’ la volta buona”; poi magari tutto si quieta e ti asciuga un sole che bruciandoti la carne e ti solleva con un “ No, non oggi, sarà per la prossima volta”.
“Quanto pane devo ancora mangiare per dare del tu al mare” si ripeteva Geppin . Il mare non si comanda perché e’ una droga beffarda; più ne vedi più ne vorresti, ed il mare più bello e’ quello che non hai ancora navigato.